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Ma gli antispecisti deboli non sono meglio dell’antispecismo debole?

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apparso su Asinus Novus

ANIMAL LIBERATION

Poiché Rita Ciatti mi rimprovera spesso di essere eccessivamente sarcastica, cercherò con quanto segue di illustrare la mia posizione, fortemente critica verso l’antispecismo debole, mantenendo un tono quanto più possibile pacato. Non intendo attaccare la persona di Leonardo Caffo ma il suo pensiero, che ritengo sotto più punti problematico, augurandomi che le obiezioni sicuramente modeste che sollevo possano dare un contributo benché minimo al dibattito.

Una prima differenza che rilevo, forse arbitrariamente, tra animalismo e antispecismo, è che il primo si pone come esterno e contrapposto alla società, mentre il secondo è ben conscio di farne parte. Considero, forse di nuovo arbitrariamente, l’antispecismo debole una forma mascherata di animalismo proprio perché si configura, esattamente come il celebre testo di Screaming Wolf (anche se in forma non violenta) [1], come una dichiarazione di guerra nei confronti del resto della società. Avvisaglie di questo si possono cogliere anche in alcune affermazioni del suo ideatore, di qualche tempo precedenti alla compiuta formulazione del nuovo pensiero. Nel testo Io sono Vegano, una caustica risposta a David Cain, Leonardo Caffo scrive:

[...] Ma come ti permetti, Cain, di dire queste cose? Hai presente come si sente fuori dal mondo una mucca? Un maiale? Un cavallo? Hai presente che uscire dal mondo di chi toglie il mondo agli animali è l’unico modo che abbiamo per aggiustare il mondo?

Uscire dal mondo per aggiustarlo. Non muoversi insieme ad esso, non dialogarci, interrogarlo e pungolarlo: il resto del mondo è completamente oggettualizzato e posto a distanza, come si trattasse di grezza materia passiva che attende di essere ricondotta alla giusta forma dall’intervento unilaterale e salvifico dell’animalista. Siamo molto lontani dalle parole di Massimo Filippi, che parla più modestamente di «politiche dell’amicizia» volte a connettere «le lotte a favore degli animali non umani con quelle di chi a “l’Umano” non ha mai voluto assimilarsi (ad esempio, femministe ed ecologisti radicali, queer, ecc.)» [2]. O da quelle di Marco Maurizi, secondo cui «non siamo i soli a voler cambiare il mondo e forse possiamo dare agli altri un tassello di verità in più con cui costruire un mondo migliore». Per citare Leonardo Caffo, la forma con la quale l’antispecista debole si rapporta all’esterno è più prosaicamente quella di un sonoro fanculo [3].

D’altronde, val la pena ricordare che l’antispecismo debole muove i suoi primi, incerti passi sul blog culturale Minima et Moralia: allora non presentandosi ancora col nome di “antispecismo debole”, ma con quello di “terzo antispecismo”. L’occasione di scrivere su un sito fino ad allora digiuno di argomenti strettamente animalisti fu fornita a Caffo da Christian Raimo dopo un violentissimo scontro tra i commentatori del blog sviluppatosi in calce all’intervista di Matteo Nucci al filosofo Fernando Savater, autore di Tauroetica, che Raimo stesso scelse di pubblicare col disgraziato titolo Contro la rogna dell’antispecismo. Caffo si trovava improvvisamente tra le mani la possibilità di rivolgersi a un vasto numero di lettori non antispecisti ma curiosi dell’antispecismo, certamente ignoranti (nel senso etimologico del termine) ma non chiusi. Sebbene sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte di Caffo, una rassegna critica delle più note teorie antispeciste classiche e contemporanee, l’articolo si presentò come una spietata confutazione delle medesime (definite nascostamente «speciste»), seguita dal primo abbozzo di una nuova filosofia. Ecco come chiosa lo scritto Il terzo antispecismo. Stato dell’arte e proposta teorica, poi ripubblicato in forma quasi identica ne Il maiale non fa la rivoluzione. Manifesto per un antispecismo debole (Sonda, 2013):

I seguenti punti, schematicamente isolati, si caratterizzando come fondamentali per un ‘terzo antispecismo’:

1.L’antispecismo è tale se e solo se rinunciamo a una parte della natura umana: salvare gli animali non umani è togliere alcuni privilegi (la maggior parte inutili, tuttavia) all’umano.

2. I comportamenti individuali sono fondamentali come gesto di disobbedienza civile alla Thoreau: lo sterminio animale non può continuare nel consenso e col contributo economico dei cittadini. Quindi bisogna violare apertamente la legge non pagando tasse che comportano violenza animale, ecc., accettando, se serve, la reclusione in carcere, le multe, e tutti gli altri problemi che questi gesti comportano;

3. L’antispecismo non può avere alleati politici che fanno dell’umano l’unico obiettivo di salvezza: come abbiamo argomentato, le due lotte seppur unite da una struttura logica di sfruttamento, non hanno collegamenti necessari o evidenti che possano far pensare a un’implicazione delle rispettive liberazioni;

4. L’antispecismo, proprio per questi motivi, se è davvero ‘oltre la specie’ deve accettare solo argomenti diretti (interessati a salvare solo gli animali, e nient’altro che loro) per la comunicazione e la lotta animalista anche quando questi sono contrari all’intuizione specista: ovvero quando gli effetti potrebbero causare problemi alla società umana.

Per tutti questi motivi si potrebbe dire che l’antispecismo è impossibile, in quanto supererogatorio. Rimangono allora due strade: (a) darsi a uno dei due antispecismi – morale o politico – nella consapevolezza che in realtà andrebbero chiamati specismi moderati, e nei limiti filosofici che ho evidenziato; (b) sacrificare buona parte di ciò che ci rende umani ed essere realmente antispecisti: accettare la punizione dello stato, comprendere che la liberazione animale potrebbe essere la nostra fine, che l’ecologia attuale mal sopporterebbe questa liberazione, che la nostra è una lotta contro l’uomo e non per l’uomo e che, il volto di un maiale lacrimante prima della gogna, vale – da solo – più di tutti i sogni dell’umanità che conquista (distruggendoli) mari, monti e pianeti. Io, ovviamente, sono per (b).

L’antispecismo è una «lotta contro l’uomo»: questa è la prima immagine che il nostro lettore ignorante ma non chiuso si sarà fatto del movimento di liberazione animale. E in effetti il primissimo commento all’articolo, significativamente, recita:

molto interessante. Ringrazio Caffo per la chiarezza delle sue conclusioni, per aver così nettamente spiegato che l’antispecismo non esclude, anzi mette in conto (e forse in qualche misura auspica) l’estinzione della specie umana.[...]

Va detto per onestà che nel suo successivo libro Leonardo Caffo sceglie di mitigare quest’espressione, riportando soltanto che l’antispecismo non è una lotta per l’uomo: ma l’impianto che nei mesi precedenti l’aveva coerentemente portato a trarre quell’inquietante conclusione rimane immutato, e dunque si tratta di una sottrazione calcolata, non sostanziale. Che il volto del maiale lacrimante valga da solo «più di tutti i sogni dell’umanità che conquista (distruggendoli) mari, monti e pianeti», invece, è asserzione che ne Il maiale non fa la rivoluzione viene riproposta per intero. Immaginiamo che un volontario di Medici senza frontiere che dedica la sua vita a soccorrere i bambini siriani massacrati dalle bombe legga questo passo: il corpicino esanime che stringe tra le braccia appartiene a quell’umanità che conquista (distruggendoli) mari, monti e pianeti, e dunque vale meno del volto del maiale lacrimante. Di più: tutti i corpicini che ha stretto tra le braccia valgono meno del volto di quel solo maiale. Cosa dovrebbe pensare? Che l’antispecismo è un pensiero orribile; non solo, che è una forma di specismo molto peculiare rivolta contro l’animale umano (ciò che Filippo Schillaci chiamerebbe «specismo speculare»): io, onestamente, fatico a dargli torto.

Talvolta i sostentitori dell’antispecismo debole insistono di non essere affatto misantropi, o addirittura di essere altrettanto attivi in movimenti “umanisti”: quello di cui non si rendono conto, è che è la teoria stessa che essi sposano ad essere venata di misantropia (paradossalmente, i “debolisti” predicano male e razzolano bene!). Accade anche che, pur intuendo la presenza di un difetto strutturale alla radice dell’antispecismo debole, si richiamino a un generico significato etimologico del termine antispecismo, che ai suoi albori stava a designare la sola battaglia in difesa degli animali non umani. Eppure Ryder coniò il nuovo lemma modellandolo sui concetti di antirazzismo e antisessismo, che rifiutano la svalorizzazione di individui preventivamente ridotti a un marcatore dell’identità come il “colore” o il “genere”. Un altro marcatore dell’identità è…la specie. Come l’antirazzismo non è una lotta contro il bianco e l’antisessismo non è una lotta contro il maschio, io credo che l’antispecismo non dovrebbe essere una «lotta contro l’uomo». Si tratta di abbandonare l’idea di una distinzione umano/animale, divenuta insostenibile dopo Darwin, simpatizzante, e non è casuale, sia di società antischiaviste che di società animaliste, come la Society for the Prevention of Cruelty to Animals – come notano Desmond e Moore, la sua compassione era per ogni cane bastonato «indipendentemente dal fatto che si trattasse di schiavi, di maori o – letteralmente – di cani» [4]. Darwin vedeva animali capaci di intelligenza e sensibilità, oltre la razza e oltre la specie. Non è questo che dovrebbe fare l’antispecismo?

Eppure Caffo cerca di mantenersi ben saldo al discrimine di specie, che solo garantirebbe all’antispecista di dimostrarsi puro e disinteressato nei suoi intenti – quest’esigenza è talmente forte in lui, che nella conclusione del libro arriva a chiedere al lettore se sarebbe disposto a tradire la sua stessa specie («se y – la liberazione animale – dovesse diventare la fine dell’umanità, saremmo disposti a farlo lo stesso?»): questo perché, come avevamo già letto anche su Minima et Moralia, a premergli sopra ogni cosa è che l’antispecismo sia davvero «supererogatorio». Cosa significa? Supererogatorio è un termine di derivazione cattolica, che vuol dire completamente gratuito; e in effetti Caffo ama ripetere che il movimento animalista si costituisce come la sollecitazione più altruistica che la storia abbia mai conosciuto [5]. Per inciso, questa è una tesi che mi pare fare acqua da tutte le parti. Forse che Darwin, mentre indirizzava tutto il suo immane sforzo teoretico a mettere in discussione la nozione di “inferiore” nella creazione per liberare dalle catene gli schiavi africani, era meno altruista di quando faceva lo stesso per impedire al vicino di casa (poi denunciato) di maltrattare le sue capre?
C’è qualche ragione di credere che un accento così acuto sul carattere ineditamente altruistico della rivendicazione animalista sia alimentato da quello che Judith Butler definisce un «egoismo nascosto», ovvero l’«inversione che molto spesso si instaura tra purezza morale e narcisismo morale, tra etica dei principi o della convinzione e politica della persecuzione» [6]. È molto indicativo che Caffo riassuma la sua critica all’antispecismo politico, reo di prestare scarsa attenzione ai comportamenti individuali, nella formula «come sembrare innocenti rimanendo colpevoli» [7]. Ora, a decidere chi è innocente e chi colpevole è sempre e solo un tribunale. Ma al cosiddetto antispecismo politico non interessa sembrare innocente o sembrare colpevole, come d’altronde non gli interessa ergersi a giudice di nessuno. Ciò che gli interessa è fare davvero qualcosa di buono per (tutti) gli animali: che può voler dire sapersi elevare al di sopra della vuota forma del dovere, se questo accanimento morale non produce nulla, non dà vita ad azioni efficaci, ma si concretizza in un’incapacità cronica di uscire dal proprio bozzolo e tessere autentiche relazioni intersoggettive. Se non dobbiamo avere alleati politici con obiettivi non immediatamente riconducibili ai nostri, che ne è della tanto sbandierata apertura al «mostruosamente altro» di Derrida?

Per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto dell’effettualità e si impunta nella pervicace impotenza di rinunziare al proprio Sé affinato fino all’ultima astrazione e di darsi sostanzialità, ovvero di mutare il suo pensiero in essere e di affidarsi alla differenza assoluta [...] il suo operare è l’anelare che non fa se non perdersi nel suo farsi oggetto, privo di essenza, [...] in questa lucida purezza dei suoi momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde consumandosi in se stessa e dilegua qual vana caligine che si dissolve nell’aria

(G.W.F. Hegel)


[1] Cfr. S. Wolf, Declaration of war. Killing people to save animals, http://www.supportwalter.org/Images/links/Dec_Of_War.pdf.
[2] M. Filippi, Antispecismi, «Liberazioni», Anno III, n°10, Autunno 2012, p.48.
[3] Scrive Caffo: «Il messaggio implicito, di quello che dovrà essere uno spazio architettonico nostro e per tutte le forme di vita, è fanculo lo specismo e le sue certezze». L. Caffo, Animal Junkspace: Bozzetto in 10 punti, http://asinusnovus.wordpress.com/2012/12/14/animal-junkspace-bozzetto-in-10-punti/.
[4] A. Desmond – J. Moore, La sacra causa di Darwin. Lotta alla schiavitù e difesa dell’evoluzione, Raffaello Cortina, Varese 2012, p. 162.
[5] No Harlan, No Vivisection! Intervento di Leonardo Caffo, http://www.youtube.com/watch?v=13nWFzZ2cnU.
[6] J. Butler, Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006, p. 146.
[7] L. Caffo, Il segreto dell’anatra-lepre, http://caffoleonardo.wordpress.com/2013/06/20/il-segreto-dellanatra-lepre-volterra-vegan-2012/.
Curiosamente, nel suo recente intervento al Futura Festival Leonardo Caffo afferma davanti a una platea non vegan che l’antispecismo non ha di mira la correzione dei comportamenti individuali ma la fine dello sfruttamento, contraddicendo apertamente quanto detto altrove e trasformandosi in quella stessa “anatra-lepre” che gli sembra così ambigua.



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