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Zampa di scimmia

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Zampa di scimmia è un racconto mediocre. Scopro ora di William Wymark Jacobs, uno scrittore inglese che lo pubblicò nel 1902. Devo averlo letto quasi quindici anni fa: a scuola, durante le ore di antologia (le mie preferite). Di pomeriggio si leggeva in classe, ad alta voce, e io conservo un ricordo molto nitido di quello che provai durante quelle ore lontane. Forse un ruolo fondamentale deve averlo avuto la voce. Non ricordo i titoli, i nomi dei personaggi, sovente i nodi fondamentali dell’intreccio (ve la ricordate la Gazzola sulla differenza tra fabula e intreccio?), ma le sensazioni sì. Io avevo molta vergogna a leggere davanti a tutta la classe, e speravo sempre capitasse a un altro: quand’era il mio turno ero troppo assorbita dallo sforzo di non impappinarmi per badare a quello che leggevo, così mi impappinavo e in più non leggevo. Zampa di scimmia però lo lesse un altro. Segnavo con gli occhi e la punta delle dita ogni parola pronunciata, incollata al banco. Non sono più stata capace di quella partecipazione.

Zampa di scimmia è un racconto macabro. Parla delle cose che non tornano. A distanza di anni non l’ho mai riletto, e probabilmente se l’avessi fatto mi avrebbe deluso. Forse per un certo lasso di tempo devo anche averlo dimenticato. A farlo riaffiorare è stato un lutto, un lutto interrotto.

La trama. Sono senza fantasia, da Wikipedia:

Il racconto[1] è incentrato su un amuleto magico in grado di esaudire tre desideri: una zampa di scimmia. Il potere dell’amuleto è dovuto ad un incantesimo di un vecchio fachiro che voleva dimostrare che non bisogna cercare di modificare il proprio destino.
I coniugi White, giunti in possesso dell’amuleto, esprimono il loro primo desiderio pur sapendo che il primo padrone dell’amuleto, dopo aver espresso i primi due desideri si era suicidato. La loro richiesta è di ricevere duecento sterline. Il giorno dopo i coniugi ricevono la notizia della tragica morte del figlio. Si tratta di un incidente sul lavoro per cui riceveranno il compenso di duecento sterline. Tentando di porre rimedio al proprio errore i coniugi chiedono che il loro figlio ritorni in vita. Il ragazzo ritorna, ma come zombie. Al signor White non resta altra alternativa che utilizzare l’ultimo desiderio per annullare il secondo.

Ciò che mi è rimasto impresso, non so in quale andito del corpo – non sono sicura tutta la memoria si depositi nel cervello – , è l’esitazione del padre e della madre di fronte all’eventualità di richiamare in vita il figliolo. Entrambi sanno che ciò non è possibile: e lo sa anche il lettore, che spera ed esita con loro. Nondimeno, esprimono quel desiderio.

Ricordo – o forse me lo invento? – una notte di pioggia scrosciante, il fango e il freddo umido, e i colpi sordi delle nocche che battono sul portone: nocche non più umane, che non percepiscono alcun dolore nello sfracellarsi contro il legno. Insensibili a tutto, e orribili e spaventose e deformate.

Così quando ti sei riaffacciata, così sfrontata e indifferente e diversa da come ti ricordavo, ho ripensato a Zampa di scimmia, e al senso dell’ineluttabile che mi aveva insegnato. Nemmeno io sono stata capace di non esprimere quel desiderio.



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